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Dialogo a tutto campo con Don Fortunato Di Noto. L’invito a Camere e Governo

-Don Fortunato, di questi tempi sentiamo le definizioni più disparate, provando a dare una chiave di lettura unitaria, cosa vuol dire e cos’è “famiglia”?

Quando fui concepito, mia madre e mio padre, mi presero con sé, in un luogo ben preciso: in una casa, in una storia che già era iniziata che si snodava nel loro amore. Sono nato in una famiglia, non certo anonima, con una identità e un patrimonio trasmetto da altre generazioni. Un padre e una madre che con semplicità ci raccontavano le loro radici, le emozioni e i sentimenti, le preoccupazioni e le fatiche. La trasmissione di una fede semplice ma aperta al Cielo nel vivere la terra. Nel superamento dei conflitti senza consulto psicoterapeutico. Il rispetto delle regole della vita nella fatica della storia delle relazioni umane. Nella conoscenza del pericolo e delle bellezza di un tramonto e nella convivialità fraterna condivisa nelle cose semplici. Nella capacità di non sprecare le risorse, poche, che si possedevano, e nell’onestà delle parole nelle azioni di carità verso chi avesse sempre bisogno. In questa famiglia non conosco la divisione e il conflitto non superato. Si stava in uno stesso tetto, con una sola tavola, nella non frenesia del possedere ma nel poco o molto da condividere. Educarsi mai ad offendere e se qualcuno offendeva, superare ogni potenziale guerra con la pace. Ciò non significa che non vi erano difficoltà, ma era nelle regole della vita che si salvava la vita. La famiglia era il luogo bello dove la bruttezza della vita poteva essere superata e vissuta. Tutti erano dentro, nessuno fuori.

 

-Che ruolo ha la famiglia che tu definisci, nell’approccio dei più piccoli con i media e con i social network?

Desidererei fare una precisazione, che condivido pienamente, «Quando un network cresce fino a un miliardo o due miliardi di persone, cambia letteralmente la tua relazione con la società, con gli altri. Probabilmente interferisce in modo misterioso con la produttività in strani modi. Solo Dio sa cosa stia facendo ai cervelli dei nostri bambini» (Sean Parker,fondatore di Napster e primo presidente di Facebook). Se dimentico chi sono, la mia identità, se non ho una stabilità, nonostante l’amore liquido (Bauman) e la famiglia oggi più di ieri instabile; se non ho regole nella vita, che come ho già detto, mi orientano e salvano da coloro che tramano contro la vita; ogni relazione nei social è pervasa di pericolo, di instabilità, di fugace relazione. Ma lo sapevamo e lo sappiamo: ogni uomo è si individuo, ma lo è se è capace di relazione. I social network ( e lo dice uno che il primo contatto web lo ha fatto nel 1989) hanno il grande rischio di aumentare l’isolamento, la solitudine e l’abbassamento della percezione di sé e delle stessa realtà. Abitare il web – è la posizione di tanti, anche nella Chiesa – ma non abiteremo se non occuperemo il nostro posto identificabile nella realtà in cui viviamo. La famiglia è tale se ha e abita una casa, anche se fosse una tenda, con volti riconoscibili e identificabili. Non credo che i social, pur ormai diffusi – ma sulla via del cambiamento – hanno amplificato le periferie digitali. Per fortuna, per chi ha il dono delle fede, Dio cerca la periferia, sempre, chè è l’uomo e lo cerca anche sul web dove per fortuna ci sono autentici testimoni della vita reale nel virtuale.  Utilizzare il web ma non farsi sopraffare dalla sua potenza: i colossi che hanno fatto ricchezza con le nostre cedute identità (senza alcuna privacy) ci hanno in parte ingannato. La famiglia è in una guerra digitale in atto: ci stanno rendendo poveri con in-cosapevolezza di aver ceduto le nostre vite, senza controllo. Penso anche al corpo digitalizzato prodotto e venduto, ceduto e con tanti occhi che lo divorano. Non ne percepiamo il rischio. Ciò non escludo, e so quello che dico, della positiva potenzialità.

 

-Due aspetti: dove i genitori italiani, in ambito educativo, vanno meglio, e dove servirebbe che facessero qualche sforzo in più?

E’ l’amore che deve orientare  i genitori; in campo educativo hanno la responsabilità, ardua e piena di doveri, di non farsi sostituire  dai potenti manipolatori di coscienze in una sistematica ed elaborata cultura relativista. Troppa delega non ha aiutato il processo educativo familiare.  Ciò significa che nei prossimi anni bisogna riappropriarsi di quello slogan, non credo superato, che diceva: famiglia diventa ciò che sei e aggiungerei che costruire un recinto con la porta aperta è la garanzia per il futuro bello e buono per tanti, per molti. Se è vero che una casa ha bisogno del vicino, del vicinato,   che con responsabilità edificano un quartiere, una città, un popolo, credo, ma è solo una mia opinione, spero condivisibile, la famiglia sia rappresentata dalla famiglia nella polis dove gli interessi sia superiori per il bene di una società oggi, sempre di più, disorientata, senza punti di riferimento, dove l’inquietudine non superata genera presenza che mettono in disordine le nostre case, spesso sono legioni di divisori che non aiutano nell’amore e nell’unità. Ciò significa anche un confronto schietto e sereno – se lo desiderano – con chi agisce e pensa diversamente.

 

-Abbiamo delle nuove Camere nell’esercizio delle loro funzioni. Quali sono le politiche familiari che il legislatore dovrebbe attenzionare di più? Ti senti di fargli un invito?

Speriamo che siano stabili le Camere e che il disordine politico trovi una continuità anche nel governo. La famiglia ha il potere del cambiamento; ha un potere grande per attuare cose piccole che fanno diventare i figli grandi di una Nazione bella, e vera che ami la vita fin dal suo concepimento e che si impegni a superare la povertà, aiuti i deboli, i fragili, gli abbandonati, i soli. Una Nazione che sta dalla parte dei piccoli è Famiglia.

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