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ALLA REGIONE LAZIO LA LEGGE 194 NON BASTA PIU’

Un bando di assunzione – è la prima volta che accade in Italia – esclusivamente finalizzato alla pratica degli aborti. E aperto esclusivamente a medici che gli aborti possano garantirli, cioè non obiettori. Il ragionamento fila, almeno all’ospedale San Camillo di Roma e in Regione Lazio. Cambiassero idea? Semplice: inadempienza contrattuale, rischieranno il licenziamento.
Stupisce, che a sentir parlare di discriminazione e di palese violazione della legge 194 (oltre che della Costituzione), il governatore Nicola Zingaretti ieri sia saltato sulla sedia: «Ma l’obiezione da noi è garantita – ha spiegato in serata –. Siamo attivi anche per rilanciare le azioni per la prevenzione e il potenziamento dei consultori». Una precisazione seguita a ruota da quella del direttore sanitario della struttura, Fabrizio D’Alba, che ha tenuto a sottolineare come attraverso il bando siano stati messi in regola «due medici che da tempo operavano nella struttura a tempo determinato, con esperienza decennale nella 194». Il bando però resta. E la verità è che la legge 194 non è nata «con l’obiettivo d’indurre all’aborto, ma di prevenirlo». Il primo a ricordarlo, in una giornata di dibattito rovente, è don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. Pesanti, le sue parole: «Predisporre medici appositamente a questo ruolo è un’indicazione chiara». Ancora: «Non si rispetta un diritto di natura costituzionale, qual è l’obiezione di coscienza». E il fatto che questa decisione «possa essere apripista per altre strutture sanitarie – continua Arice – è un timore».
Non si fa attendere la denuncia dei medici cattolici, che parlano di «modalità discriminatoria di reclutamento del personale », ricordando come la legge 194 preveda di cambiare idea circa l’aborto in qualsiasi momento della carriere lavorativa: «È assolutamente intollerabile l’arroganza di politici e coordinatori sanitari e il pressapochismo violento con il quale irrompano nel mondo della salute – scrive il presidente dell’Amci Filippo Boscia –. Il management sanitario e le organizzazioni negative non possono ottemperare le loro esigenze applicando clausole contrattuali di ‘coercizione delle coscienze’ a tempo indeterminato ». Il riferimento è a quanto certificato con chiarezza numerica dalla Relazione annuale sull’applicazione della legge sull’aborto nel nostro Paese, che ogni anni viene presentata al Parlamento: in Italia l’11% dei ginecologi non obiettori è assegnato ad altri servizi e non a quello delle interruzioni volontarie di gravidanza. Per essere chiari, cioè, non effettua aborti pur non avvalendosi del diritto all’obiezione di coscienza. Disorganizzazione, se è vero che mancano medici per le interruzioni di gravidanza. Ma anche su quest’ultimo punto, i dati parlano chiaro: con una media di 1,6 aborti a settimana su 44 settimane lavorative, non si può parlare di carico eccessivo o inevaso di lavoro per i medici non obiettori (fanno eccezione tre Asl, che si discostano notevolmente dal dato: nessuna nel Lazio, che i dati della distribuzione dei medici non obiettori al ministero non li ha mai comunicati).
Pensare che proprio con questi numeri, contenuti nelle sue controdeduzioni, il governo italiano ha fatto archiviare la denuncia presentata dalla Cgil al Consiglio d’Europa lo scorso aprile: denuncia in cui si sosteneva, appunto, che nel nostro Paese la legge 194 non fosse applicata a causa del numero eccessivo di obiettori.

A sera sul caso arriva anche la scure del ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «Non bisogna esprimere pensieri ma semplicemente rispettare la legge, in cui l’obiezione di coscienza è rispettata nel nostro Paese. E quando fai assunzioni o concorsi non mi risulta ci siano parametri che vengano richiesti ». «La pretesa di bandire posti riservati esclusivamente a ginecologi disponibili a praticare aborti è un insulto alla libertà di coscienza del medico, oltre che un approccio illiberale e anticostituzionale al problema della legge 194», le fa eco il presidente del Movimento per la vita e deputato del gruppo parlamentare Democrazia Solidale-Centro Democratico Gian Luigi Gigli. In campo anche la deputata Udc Paola Binetti: «La decisione di Zingaretti di assumere due ginecologi non obiettori vuol dire facilitare che le donne possano abortire – ha osservato – a fronte della assoluta complessità in cui versa il Sistema sanitario romano con tempi di attesa al Pronto soccorso che rendono miracoloso che le gente non muoia su di una barella in corridoio». E mentre dal Pd e da Sel qualcuno avanza già la possibilità che il “modello San Camillo” sia esteso ad altre regioni, la Lega mette le mani avanti sulla Lombardia: «Qui non si seguirà l’esempio del Lazio». (Avvenire 23feb2017, Viviana Daloisio)

IL GIURISTA. UNA PRATICA ILLEGITTIMA CHE VA SUBITO IMPUGNATA
«Un bando simile contrasta sia con la legge 194, sia con la Costituzione»: non ha dubbi Francesco Saverio Marini, il costituzionalista che è contemporaneamente prorettore dell’università Tor Vergata di Roma e consulente giuridico presso l’Istituto superiore di sanità.

Professore, quali sono i principi costituzionali violati?
Certamente le libertà religiosa e di coscienza, che si ricostruisce da un insieme di norme. In questo caso mi sembra che rilevino in modo particolare l’articolo 13, posto a tutela della libertà personale, ma anche l’articolo 3, che non ammette discriminazioni nell’accesso all’organizzazione economica del Paese.

Diceva però che il concorso della regione Lazio viola anche la stessa legge 194.
In effetti la possibilità di sollevare obiezione di coscienza, prevista dal suo articolo 9, ha come finalità quella di evitare conseguenze pregiudizievoli a chi esercita questo diritto. Ma se dei medici vengono esclusi da un pubblico concorso, o peggio ancora licenziati perché decidono di non praticare più interruzioni di gravidanza, mi sembra evidente l’illegittimità del bando e del contratto di lavoro.

Com’è dunque possibile che produca effetti un provvedimento contrario non solo alla legge, ma anche alla Costituzione?
Alcune ricostruzioni giornalistiche hanno affermato che il bando in questione avrebbe superato il vaglio del Tar. Ma nella banca dati della giustizia amministrativa non si trova nessuna sentenza al riguardo. Una cosa è certa: giusto o sbagliato che sia, perché un atto amministrativo illecito venga annullato serve un’impugnazione entro precisi termini. Se nessuno la propone, il provvedimento conserva valore.

E se altre Regioni seguissero l’esempio del Lazio?
In questo caso, una volta emanato il nuovo bando, chi ha interesse potrebbe rivolgersi al Tar.

Il governatore del Lazio si difende: per lui, l’elevato numero di obiettori attenta alla corretta applicazione della legge 194.
Lettera e spirito della legge sono diversi da quelli che spesso vengono fatti passare. La 194 consente infatti l’aborto in casi estremi, quali il grave rischio per la salute fisica o psichica della madre, ma contemporaneamente impone di rimuovere, per quanto possibile, tutte le cause che possono portare all’interruzione di gravidanza.

Giuridicamente inteso, quello di abortire non è dunque un diritto?
Direi di no, anche se a volte la giurisprudenza l’ha fatto credere.

Qualcuno potrebbe dire: ma la Costituzione tutela anche la salute della donna…
Certo, e la legge 194 nasce proprio questi due diritti: quello alla salute, portato dalla donna, e quello alla vita, portato dal feto. Prima di sacrificarne uno, quello del bimbo, evidentemente, bisogna fare tutto il possibile perché entrambi possano coesistere. È in questo senso che bisognerebbe applicare correttamente la 194. (Avvenire 23feb2017, Marcello Palmieri)


Intervista prof. Cesare Mirabelli (tv2000 22feb2017)

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